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Adaptive Fashion

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Adaptive Fashion

Posted by vanitywheel / 193

[…] Si chiama «adaptive fashion», si rivolge ai diversamente abili. Il fatto stesso di avere un nome ne garantisce, almeno a parole, la dignità. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna si sta facendo un gran parlare di adaptive fashion, la moda pensata per persone con disabilità. Si tratta di un fenomeno esploso di recente che ha acceso i riflettori sulle esigenze di chi si muove grazie a una sedia a rotelle o altri tipi di ausili, di chi ha protesi e di chi convive con malattie croniche ma che, non per questo, voglia rinunciare a sentirsi desiderabile e glamourous.

Piccoli passi che stanno rapidamente costruendo un tipo di rappresentazione del corpo inclusiva attraverso sfilate, riviste di moda, collezioni e campagne pubblicitarie. Se nel mondo anglosassone si vedono i primi risultati di queste rivoluzioni estetiche in cui franano lentamente alcuni canoni considerati non più così granitici, in Italia il dibattito sembra piuttosto fermo. Se infatti escludiamo il caso di Bebe Vio, presenza fissa agli eventi e ambasciatrice della Maison Dior, disegnata da Maria Grazia Chiuri, oppure quello della aspirante Miss Italia Chiara Bordi che si è candidata al titolo di reginetta di bellezza nonostante la gamba amputata, il vento del cambiamento sembra soffiare con meno intensità anche a giudicare l’impegno delle maggiori case di moda. Ma per valutare la situazione nel nostro paese, andiamo a vedere nel dettaglio cosa accade all’estero.

Tommy Hilfiger, l’apripista

Il primo a raccogliere la sfida è stato Tommy Hilfiger che ha creato nel 2016 una linea di abbigliamento per bambini con disabilità. L’iniziativa è stata il frutto della partnership con Runway of Dreams, l’organizzazione no profit fondata dalla stilista Mindy Scheier, madre a sua volta di un bambino con la distrofia muscolare, che si occupa di promuovere il concetto di adaptive design soprattutto sensibilizzando brand mainstream. Obiettivo centrato dal momento che lo scorso anno lo stilista americano ha lanciato Tommy Adaptive, una capsule collection disegnata appositamente per far fronte alle specifiche esigenze degli adulti con disabilità fisiche.

Tommy Adaptive, prima linea al mondo dedicata ai disabili

Dopo di lui sono stati diversi marchi che hanno seguito il suo esempio. All’inizio del 2018, la catena americana di negozi Target si è allineata con l’aggiunta della linea adaptive per un abbigliamento casual da tutti i giorni mentre qualche giorno fa è stata svelata la linea di abbigliamento «easy dressing» rivolta ai più piccoli di Marks & Spencer. «Abbiamo ascoltato i suggerimenti dei genitori», ha sottolineato la designer della multinazionale britannica Rebecca Garner, «ci hanno detto con trasporto che come la disabilità non definisce i loro figli, così gli adattamenti non dovrebbero definire i vestiti: per questo la linea è disegnata con un’idea inclusiva in tutto simile alla collezione principale».

Campagne virali: Asos e Aerie

Un caso che ha fatto molto parlare di sé è stato quello di Asos. L’estate scorsa il portale di e-commerce ha diffuso le immagini di una tuta sgargiante, una sorta di divisa per la stagione dei festival, disegnata in collaborazione con l’atleta paralimpica Chloe Ball-Hopkins. Tutto è nato dal sogno della ventunenne inglese affetta da distrofia muscolare diventato realtà grazie a una mail inviata al colosso dello shopping online: come tutte le ragazze della sua età, Chloe rivendicava il diritto di andare ai concerti senza bagnarsi e prendere freddo. E essere cool, ovviamente. «Questa tuta waterproof non è solo per le persone in sedia a rotelle come me ma per tutti», specifica Ball-Hopkins, «non vogliamo solo la comodità ma anche la possibilità di essere alla moda». Chloe è diventata modella e modello al tempo stesso sapendo quanto sia importante potersi vedere rappresentata.

Stesso periodo e stesso effetto dirompente per la campagna di Aerie, dal 2014 promotore di un’idea di «body positivity» che mostra le ragazze per quel che sono, senza ritocco. Ecco quindi apparire sui social del brand di lingerie della galassia American Eagle giovani donne con la vitiligine, in carrozzina, con le stampelle, con il sacchetto della colostomia e il dispositivo per l’insulina. Tutte sorridenti e senza pudori, un faro per le donne più o meno giovani che si sono riviste in queste modelle noncuranti delle loro fragilità […] Come giustamente ha fatto notare nel suo discorso al TED Talk di un paio di anni fa la «disability fashion styling expert» Stephanie Thomas chiamata a parlare sul tema: «Nei negozi abbiamo più vestiti per cani che per persone con disabilità». Negozi tra l’altro che rendono impossibile lo shopping, per esempio, a chi è in sedia a rotelle. Un problema che accomuna, almeno in questo caso, l’Italia con il resto del mondo.

Nel 2017 in UK è nato il movimento Help Me Spend My Money per denunciare gli ostacoli a cui vanno incontro le persone con disabilità, tra scalini, mensole troppo alte e camerini inaccessibili. I promotori della campagna lamentano che nessuno vuole i soldi dei disabili: questo ogni settimana comporterebbe una perdita di 420 milioni di sterline per mancate vendite, molte delle quali nel settore dell’abbigliamento. Le persone con disabilità si possono vedere come consumatori, non si offendono di certo. «Ognuno vuole indossare il proprio brand preferito», sostiene Thomas, «ma quel marchio non deve evidenziare che si è differenti in un’accezione negativa». Inclusione, non esclusione.

L’importanza di una cover

Vedersi rappresentate sulla copertina di un magazine di moda può servire a dare un’iniezione di fiducia vitale, specialmente quando si è nel pieno dell’adolescenza. Per questo motivo per il suo september issue Teen Vogueha arruolato tre modelle molto particolari raccontate nel lungo servizio scritto da una giornalista affetta da paralisi cerebrale, Keah Brown, che con l’hashtag #DisabledAndCute mira a cambiare la narrazione attorno alla disabilità.

Chelsea Werner è una modella e ginnasta con sindrome di Down, comparsa anche nella campagna di Aerie; Jillian Mercado è praticamente una rockstar su Instagram, «wheelchair user» a causa della distrofia muscolare, portata alla ribalta nientemeno che da Beyoncé; Mama Cax è una modella e blogger amputata, sopravvissuta a un tumore che le ha portato via una gamba ma non la vita quando aveva solo 14 anni.

«Essere magre, fisicate, bianche e alte: sono stati questi i rigidi canoni di bellezza a cui storicamente hanno risposto le modelle. Mentre guardiamo quel mondo spostarsi lentamente verso ideali più inclusivi riguardanti l’etnia, la taglia, il genere e l’orientamento sessuale, allo stesso modo questo slittamento dovrebbe includere anche i corpi disabili», auspica la giornalista, «come tutti i tipi di rappresentazione, vedere modelle disabili, non solo nelle riviste, può cambiare la vita delle persone».

fonte: LuxGallery, articolo di Valentina Bissoli

Tags: Perché
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